IL TAGLIO DEL PARLAMENTO

Come con l’abolizione della povertà, Di Maio e compagnia adesso sventolano ai quattro venti la grande vittoria da loro ottenuta con il taglio dei parlamentari che sarebbe da ribattezzare come “taglio del Parlamento”. E’ un’operazione che sul piano del risparmio economico è ridicola e su quello politico apre lo spazio solo ad operazioni di riduzione della rappresentanza. Vediamo perché.

Da Tangentopoli in poi l’obiettivo di affossare il senso profondo della rappresentanza democratica voluta dalla Costituzione nata dalla Resistenza ha percorso, con alterne vicende, tutta la vita politica del Paese. C’è da dire che il primo tentativo fu fatto nel 1953 con la famosa “Legge truffa” che provava ad introdurre il principio maggioritario e fu sconfitta dalla mobilitazione popolare guidata dal PCI.

A seguito di “Mani Pulite” la distruzione dei Partiti di massa, da questo punto di vista, ha rappresentato un nodo cruciale nel perseguire obiettivi di questa natura, insieme alle diverse leggi elettorali maggioritarie che hanno caratterizzato gli ultimi venti anni. Con questo non si vogliono giustificare le storture e la corruzione della prima, della seconda e della terza Repubblica, ma analizzare gli obiettivi che sono stati perseguiti utilizzando quelle derive.

Il consenso a questo provvedimento è quasi plebiscitario. Dopo anni di antipolitica l’effetto non poteva che essere questo. Lo stesso voto parlamentare che ha visto solo 14 contrari esprime tutta la subalternità delle forze politiche a tale ondata ideologica. Nessuna che abbia avuto il coraggio, neanche i rimasugli della sinistra parlamentare, di difendere da questa propaganda becera il senso alto della politica e della rappresentanza democratica già duramente colpita negli ultimi 30 anni.

Ed è proprio sul piano ideologico il primo danno di questo provvedimento.

L’indicazione del nemico nella “classe politica”, che in realtà “classe non è”, oltre a spostare l’attenzione dai veri nemici delle classi popolari, favorisce il susseguirsi di leader e formazioni politiche su cui scaricare periodicamente l’incapacità sistemica di dare risposte strutturali ad una crisi che miete vittime sul piano economico e sociale con sempre maggiore velocità. Una tendenza che, con l’avvio di nuova recessione conclamata, non può che essere confermata. Il taglio del Parlamento fa parte di questa logica. Non è un caso se diffusamente i media abbiano funzionato da sponda a tale spinta e se tutto questo è ben visto a Bruxelles. Tali processi sono favoriti dalle élite capitalistiche affaccendate a trovare la strada per gestire la recessione ed il caos sistemico nel quale sono immerse loro stesse. Anzi. Più la democrazia è formale ed i “politici” sono gli unici responsabili, e più è facile gestire le incertezze del futuro, senza il bisogno di ricorrere al fascismo.

Dopo l’ubriacatura dell’approvazione del “taglio” ci si accorgerà fatalmente che, aldilà dell’effetto propagandistico, nelle tasche della maggioranza della popolazione non arriverà nulla. I quaranta milioni netti di risparmio annuo sono una presa in giro rispetto a quanto sarebbe necessario per rilanciare l’economia del Paese. Per avere lo stesso risparmio sarebbe bastato dimezzare gli stipendi mantenendo inalterato il numero dei parlamentari. Da questo taglio netto senza apparente criterio scaturisce che a legge elettorale invariata sia per la Camera che per il Senato si avrà un forte sbilanciamento maggioritario a danno delle forze minori. Il fatto, infine, che si sia fatto il provvedimento senza indicare una riforma elettorale ed istituzionale ad essa collegata non solo ha il sapore della “truffa” ma, con il fumo negli occhi della propaganda contro “i politici”, potrà ulteriormente peggiorare la situazione.

Stiamo certi che dai test elettorali delle prossime regionali, a partire dall’Umbria, emergeranno idee sulle leggi elettorali. Con il rischio di pastrocchi ancora più reazionari di quanto si possa immaginare ora.

Non bisogna, infine, dimenticare che tutti i livelli istituzionali, dai Municipi alle Regioni hanno subito un drastico ridimensionamento della rappresentanza in nome della “governabilità” prima e del taglio dei costi della politica poi. Si può quindi confermare con i fatti che la grancassa della lotta alla casta abbia semplicemente ridotto e non allargato la democrazia nel Paese.

C’è da scommettere che l’effetto demagogico di tutto ciò durerà poco di fronte alla realtà che prepotentemente tornerà a bussare con le emergenze vere. Gli spazi, quindi, per scardinare l’intera logica che sta dietro questo provvedimento tutt’altro che rivoluzionario ci sono e sono ampi. Certamente esistono da questa parte della barricata nella misura in cui si prendano definitivamente le distanze anche dalle forze della sinistra parlamentare che si sono prestate meschinamente a questo gioco.