Pochi giorni fa si è tenuta a Pechino la quarta riunione ministeriale del Forum Cina-CELAC (CELAC: Comunità degli Stati dell’America Latina e dei Caraibi)
Hanno partecipato oltre 30 Stati Latinoamericani.
Non è una cosa da poco e testimonia come l’influenza della Cina in America Latina abbia raggiunto un livello assai elevato e sia in continua e inarrestabile crescita. Stiamo parlando di un continente che non solo si trova molto vicino agli Stati Uniti, ma che storicamente è sempre stato considerato da questi come il loro “cortile di casa” e quindi ha sempre subito una forte influenza da parte di Washington.
Alla riunione erano presenti tra gli altri il Presidente del Brasile, Lula Ignacio Da Silva e il Presidente della Colombia, Gustavo Petro, il quale ultimo ha ufficializzato l’entrata di Bogotà nella Via della Seta cinese, andandosi ad aggiungere ad una serie di altri paesi del continente già aderenti.
L’elemento principale della riunione è la decisione di Pechino di investire ingenti risorse per costruire infrastrutture strategiche nei vari paesi, i quali per lo più non hanno soldi sufficienti per farlo da soli. Tra porti, ferrovie, autostrade e altro, il programma è molto ambizioso. Peraltro di recente è stato inaugurato un gigantesco porto in Perù, a Chancay, costruito dalla cinese Cosco. Tale porto dovrebbe poi essere collegato con il Brasile, attraverso una ferrovia, che verrà costruita sempre da personale con gli occhi a mandorla.
L’interscambio commerciale tra la Cina e i paesi del Celac ha raggiunto i 500 miliardi di dollari, una cifra impensabile solo agli inizi del 2000. Ma una delle novità sta anche nel fatto che gli investimenti cinesi – in forma di prestiti – avverranno in yuan e non più in dollari, proprio per ridurre il dominio che quest’ultima valuta ha esercitato finora nell’economia mondiale. Tale fatto sembra accolto con favore dai paesi latinoamericani, i quali da sempre subiscono la dipendenza dal dollaro.
Alla riunione di Pechino Xi Jinping ha duramente criticato la politica dei dazi di Trump, politica peraltro che più passa il tempo e più appare ridimensionata.
È anche questo un segnale di un forte mutamento nei rapporti di forza mondiali e di come gli Stati Uniti si trovino in grossa difficoltà a mantenere la supremazia che avevano detenuto per quasi un secolo, ma anche di come il Dragone porti avanti una logica molto diversa da quella degli Usa, basata quest’ultima su una feroce competizione a livello internazionale. Infatti i prestiti cinesi di cui sopra non sono condizionati dall’imposizione di politiche liberiste (quindi tagli alla spesa pubblica, con tutte le conseguenze sociali, spesso drammatiche) ai paesi beneficiari, come era stato finora con quelli del Fondo Monetario Internazionale (FMI), organo di emanazione USA-Europa, bensì tendono verso una logica “win-win”, ossia favoriscono anche lo sviluppo industriale e occupazionale di queste nazioni.
Per i paesi latinoamericani ciò rappresenta di sicuro un enorme vantaggio, rispetto a prima, in quanto si aprono nuove prospettive di sviluppo anche per l’economia locale, finora schiacciata dalla preponderanza delle grandi multinazionali USA.
Ma nell’incontro del Forum Cina-CELAC di Pechino non si è parlato solo di prestiti e infrastrutture. Un capitolo di grande importanza riguarda il discorso della formazione del personale dei paesi latinoamericani, per cui la Cina fornirà 3.500 borse di studio governative, 10.000 corsi di formazione professionale, poi corsi di lingua cinese e tecniche per la lotta alla povertà.
Il Forum di Pechino rappresenta un ulteriore tassello nella costruzione di un mondo multi-polare, che si sta sempre più sostituendo al precedente assetto uni-polare, nel quale i paesi occidentali – capeggiati dagli Stati Uniti – la facevano da padrona.
E a differenza di quanto potrebbero pensare molti puristi dell’ortodossia “marxista”, non si tratta qui soltanto di sostituire un assetto capitalistico (o imperialistico) mondiale con un altro, bensì di aprire una nuova fase di sviluppo economico globale, in cui si incominciano già a scorgere – per il momento in modo contraddittorio e insufficiente, certo – dei primi elementi di critica nei confronti del dominio imperialistico del grande capitale finanziario e delle gigantesche multinazionali, nonché di messa in discussione delle politiche liberiste.
Di questi tempi non è poco.