VENEZUELA, GLI USA APRONO UN NUOVO FRONTE?

Negli ultimi tempi gli attacchi degli Stati Uniti nei confronti del Venezuela bolivariano si stanno facendo sempre più pressanti.

L’accusa, da parte di Donald Trump è quella che il Venezuela sarebbe addirittura un narco-stato e quindi da prendere di mira in un discorso di ‘lotta alla droga’.

Si è arrivati anche a emettere una taglia (stile Far West) nei confronti del Capo di Stato venezuelano Nicolàs Maduro.

 

Attacchi verbali, ma anche materiali: Washington ha schierato nel Mar dei Caraibi di fronte alla costa venezuelana ben otto navi da guerra e un sommergibile nucleare.

Inoltre recentemente ha affondato tre barconi battenti bandiera venezuelana, che, secondo gli statunitensi, sarebbero addetti al traffico di droghe. Naturalmente – come sempre avviene in casi simili – senza presentare alcuna prova di ciò.

 

Al momento è difficile capire se questi attacchi di crescente entità siano solo di facciata e destinati a rimanere tali, oppure se si sta preparando una vera e propria guerra che Washington intende portare avanti con l’obiettivo di far cadere il governo bolivariano, per sostituirlo con un altro molto più accondiscendente con le politiche yankee e soprattutto con gli appetiti dei colossi petroliferi anglo-americani. Non è un mistero, infatti, che nel suolo venezuelano ci sia una delle più grandi riserve di petrolio a livello mondiale.

 

Anche perché il rapporto 2025 dell’UNODC, l’agenzia antidroga e anticrimine dell’ONU, parla chiaro: nell’America Latina i principali paesi implicati nel traffico di sostanze stupefacenti sono Colombia, Perù, Ecuador e Guatemala.

Caracas non solo occupa una posizione del tutto irrilevante nell’ambito, ma è anche uno dei paesi più trasparenti e che collabora maggiormente nella lotta al narcotraffico.

 

Che il vero obiettivo degli attacchi del Governo Trump al Venezuela sia il petrolio appare un po’ come la scoperta dell’acqua calda, per chi conosce le caratteristiche economiche del paese.

E non è certo la prima volta che gli Stati Uniti tentino in qualche modo di abbattere i governi bolivariani, nell’ottica di quello che oggi si tende a chiamare “regime-change”, ma che in effetti null’altro è che un colpo di Stato. Già quando era al governo Hugo Chàvez ci furono diversi tentativi in tal senso. Morto Chàvez, il tentativo più noto è stato quello – fallito – di Guaidò.

 

Questa volta però è diverso, perché, a differenza delle volte precedenti, ora Washington sembra voler intervenire in modo diretto e militare.

Se accadesse per davvero, ciò causerebbe l’apertura un nuovo fronte di guerra, che si andrebbe ad aggiungere a quello ucraino e a quelli mediorientali (Gaza, Iran, Siria, Yemen, Cisgiordania, Libano), per non parlare di un altro fronte, che per il momento è solo allo stato latente, ma che potrebbe presto detonare, quello Cina – Taiwan.

Anche perché, nonostante l’apparente disparità di forza tra USA e Caracas, una guerra sul suolo venezuelano dovrebbe rivelarsi tutt’altro che una passeggiata.

Il Venezuela infatti si sta preparando già da tempo ad una simile eventualità e, oltre a disporre di un esercito da non trascurare, questo è ben integrato con diverse strutture civili, come la Milizia e i comitati di difesa dei cittadini.

Il partenariato che il governo bolivariano ha sancito con la Russia sta producendo risultati notevoli: il paese caraibico ora dispone di una serie di attrezzature all’avanguardia, nonché sistemi di difesa anche satellitare.

 

E, anche se al momento non fa parte di alcuna alleanza strettamente militare, Caracas mantiene ottimi rapporti con i paesi del BRICS+ (nel quale non è riuscita ad entrare solo a causa del veto del Brasile), e ha un’importanza geostrategica e soprattutto petrolifera, che la rendono una nazione chiave. In caso di aggressione al Venezuela non è da escludere che i paesi del BRICS+ – segnatamente la Russia, ma forse anche la Cina – non resterebbero a guardare e potrebbero adottare alcune contromisure che danneggerebbero in qualche modo gli yankees.

 

Senza contare il fatto che il clima politico dell’America Latina sta mutando negli ultimi tempi. Al punto che perfino il paese che negli ultimi decenni ha rappresentato una vera e propria spina nel fianco del Venezuela, ossia la Colombia, ora ha radicalmente cambiato la sua linea politica di 180 gradi: era, fino a poco fa, un baluardo degli USA in Sudamerica, nonché acerrimo nemico del paese bolivariano, mentre ora, grazie al nuovo presidente Gustavo Petro, sta entrando sempre più in contrasto con Washington e ha migliorato notevolmente i rapporti con Caracas.

Ma anche nel resto dell’America Latina un intervento militare diretto degli Stati Uniti in Venezuela non mancherebbe di suscitare forti reazioni, che potrebbero sfuggire di controllo a chi ha sempre visto e trattato quel continente come il proprio “cortile di casa”.