VERTICE APEC, VERSO UN MONDO (INTANTO) BIPOLARE?

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ormai ci ha abituati alle sue “sparate”. Da buon commerciante – più che politico – tende continuamente, come si dice, ad “alzare la posta”, e lui lo fa a modo suo, urlando richieste o pretese esagerate, quando non assurde (vi ricordate le sue pretese nei confronti di Canada e Groenlandia?). Quasi sempre poi queste ‘boutade’ finiscono per lasciare il tempo che trovano.

Con questo spirito il tycoon ha preparato l’incontro con il premier cinese Xi Jinping, minacciando il raddoppio dei dazi sui prodotti di Pechino. Ma naturalmente Xi non si è fatto minimamente intimorire e ha detto a chiare lettere al suo omologo statunitense che i cinesi sono sì aperti, pacati e disponibili, ma sono anche capaci di fare la guerra (per il momento solo commerciale) in caso di necessità e ha minacciato a sua volta la restrizione del commercio delle terre rare, elementi fondamentali per la produzione high-tech. Il risultato è che Trump ha dovuto cedere e rimangiarsi le sue “sparate”.

E così al recente vertice dell’APEC (Asia-Pacific Economic Cooperation) tenutosi nei giorni scorsi a Busan, in Corea del Sud, c’è stato un incontro faccia a faccia tra Donald Trump e Xi Jinping, che si può definire davvero storico (forse ancora di più di quello tra il tycoon e Putin in Alaska). I famosi dazi sulle importazioni cinesi, di cui Trump minacciava forti aumenti, sono stati invece ridotti. Inoltre si è giunti ad un accordo, per il momento solo annuale, per il commercio delle terre rare. Al termine dell’incontro il presidente USA ha inoltre promesso di andare in Cina per l’aprile prossimo e ha invitato Xi a venire negli States. È il riconoscimento del fatto che i rapporti tra i due colossi economici mondiali non si possono certo risolvere con un incontro, ma che è necessario un dialogo permanente.

La ‘pace’ tra USA e il Dragone rimane però in realtà più una tregua armata, che non una vera e propria pace: è chiaro infatti che Washington non ci sta a perdere il suo ruolo di unica superpotenza mondiale e di dividerlo con un paese, guidato per giunta da un partito comunista. E, anche se non si è parlato della questione di Taiwan – il che è assai significativo -, è anche vero che l’incontro tra i due leader è stato preceduto da un viaggio di Trump in altri due paesi dell’Est Asiatico, ossia in Malesia e in Giappone, nel tentativo di consolidare rapporti in funzione anti-cinese (intervenendo a Kuala Lumpur anche sulla questione del rapporto tra la Thailandia e la Cambogia, provando a fare da mediatore). Senza troppo successo, per la verità: la Malesia guarda sempre più ai BRICS+, di cui è Stato associato, ma aspira a diventarne membro effettivo, mentre Tokio, oltre a non essere più la potenza economica di un tempo, non ha interesse ad alimentare più di tanto lo scontro con Pechino e infatti la premier Sanae Takaichi si era incontrata anche con Xi.

Sullo sfondo resta l’importanza crescente dell’area geografica Asia-Pacifico. Il tentativo di Trump di sganciarsi sempre più dagli impegni in Europa – e in modo particolare dalla guerra in Ucraina – per concentrare i suoi sforzi in Asia, riflette chiaramente questo spostamento epocale del baricentro economico e demografico mondiale verso Oriente. Basti pensare, ad esempio, a un paese come l’India (ma anche Pakistan e Indonesia). L’Apec riveste una grande importanza in questo senso, dal momento che comprende oltre a importanti paesi asiatici (Cina, Giappone, Indonesia, Filippine, Malesia, Singapore, Thailandia e altri ancora), anche paesi come l’Australia e, dall’altra parte del Pacifico, Canada, Messico Perù e Cile.

C’è da rilevare che il presidente USA Donald Trump, a dispetto della sua fama di “bullo” arrogante e aggressivo, si è dimostrato di gran lunga assai più accorto e lungimirante dei dirigenti europei. Dopo le sue precedenti ‘sparate’ (ma senza conseguenze), è stato infatti abile nel valutare correttamente i reali rapporti di forza nei confronti della sua controparte cinese e a portare avanti un rapporto di mediazione effettiva, arrivando a cedere su diversi punti (dazi soprattutto) e riconoscendo – nei fatti – che il rapporto con Pechino non può essere che su un piano paritario.

Ben diverso è stato l’atteggiamento tenuto dagli europei nei confronti del Dragone: quest’estate al summit Cina-UE è stato dato di fatto il benservito alla delegazione europea composta dalla Von der Leyen, Antonio Costa e la Kallas, dopo che questi, da una posizione di debolezza, hanno avuto l’arroganza di fare la morale alla Cina, per i diritti civili e per i suoi rapporti con la Russia. Inoltre sempre l’UE ha imposto delle sanzioni a ditte cinesi. E al momento i rapporti tra Pechino e la ‘locomotiva dell’UE’, ossia la Germania – la quale ha bisogno come il pane delle terre rare per la sua industria in crisi, oltre all’immenso mercato di sbocco costituito dal popolo cinese – sono tesissimi.

Dopo aver “perso il treno” del gas russo, ora l’Unione Europea sta mettendo in crisi anche il rapporto con la più grande potenza emergente e ricca di materie prime indispensabili, mentre continua, viceversa, a scodinzolare e a obbedire ciecamente allo zio Sam, il quale è ben felice di indebolirla, liquidando così uno dei potenziali concorrenti del passato recente.