VOTARE SÌ AI 5 REFERENDUM

È arrivato il tempo del voto al Referendum.

Il silenzio da cui è stato avvolto in questi mesi dipende certamente da diversi fattori. Il primo è certamente legato alla ribalta che a livello di massa ha preso il contesto internazionale e le vicende belliche che sempre di più stanno incendiando il mondo. Ma non è solo questo. La questione di classe, enorme nel nostro Paese sia sul piano delle condizioni oggettive che soggettive, è stata da tempo marginalizzata dal dibattito pubblico e sostituita, quando va bene, da un’analisi sullo sviluppo delle forze produttive e della tecnologia come fosse un elemento neutro.

Di per sé i quesiti referendari provano a reintrodurre elementi di tutela che, da ultimo dal Job act, sono stati smantellati e disarticolati dalla metà degli anni Novanta ad oggi. Dalla questione del precariato a quella dei subappalti, fino a quello della cittadinanza dopo cinque anni di permanenza nel nostro Paese, sono tutte questioni che hanno a che fare con la possibilità di ricostruire una coesione ormai sfibrata tra i lavoratori.

Non potranno essere da soli i Referendum a riconsegnare forza e capacità di lotta ai lavoratori del nostro Paese ma certamente una loro affermazione sarebbe una significativa controtendenza con cui tutti dovrebbero fare i conti.

Il fatto che molti dei quesiti vadano ad abrogare norme del cosiddetto Job act di Renzi da solo spiega quanto le timidezze e la difficoltà di far penetrare i contenuti che li sorreggono abbiano delle ragioni profonde. Il campo sindacale e parte di quello politico che lo ha promosso esprime tutta la debolezza di cui il periodo renziano è stato uno degli episodi di una storia che dura da almeno trent’anni.

Dalla stessa CGIL che li ha promossi non si è percepita una spinta convinta che potesse portarli al centro del dibattito pubblico. I quesiti non sono questioni da accademia ma avrebbero dovuto essere parte di una piattaforma che potesse fondare una mobilitazione rafforzata da percorsi di lotta che non si sono visti. Nel vuoto di un volano in grado di imporsi nel dibattito, almeno tra i lavoratori, è quantomeno arduo riuscire a far allargare uno spazio che punti alla vittoria referendaria.

Il Referendum è uno strumento che va maneggiato con cura. Se mal utilizzato rischia di diventare un boomerang. Non può essere dimenticato l’effetto del famoso referendum del 1985 sulla scala mobile che, sconfitto, portò al superamento completo di quello che era uno strumento fondamentale di tutela dei salari.

Se non ci sarà quorum, quando e con quali tempi si potranno affrontare i temi eventualmente bocciati dalle urne o dall’indifferenza?

Il Governo e il Presidente del Senato ed altri esponenti della destra si sono sperticati per promuovere l’astensionismo. Vista la presa che purtroppo hanno su larghe fasce popolari non rendono il compito di superare il quorum più semplice, anzi, per quanto la politicizzazione del voto abbia sempre come risultato la polarizzazione delle scelte in base alle appartenenze.  Il tema è che ormai le “appartenenze” sono ridotte al lumicino, vista la scarsa presa elettorale di tutte le forze politiche che vedono solo il 50% degli elettori frequentare con continuità le urne.

In questo contesto e capendo quale sia la posta in gioco, ovvero un ulteriore riduzione degli spazi di tutela politica e sindacale dei lavoratori, non si può non ritenere importante e necessario andare a votare e votare sì a questi referendum. L’auspicio è che lo stesso pensiero sia riuscito, nonostante tutto, a penetrare nella convinzione del cinquanta per cento più uno degli aventi diritto.