ELEZIONI EUROPEE: LE SCELTE IN CAMPO E LA GUERRA

 

L’evoluzione della situazione internazionale è in continuo divenire e si colloca dentro uno scontro sempre più esplicito tra le maggiori potenze economiche, politiche e militari del mondo.

Tale dinamica ha spinto i maggiori Paesi europei, chiusi nella morsa dell’alleanza atlantica, a spingersi sempre più in là nel sostegno all’Ucraina, restando pressoché silente sul massacro, genocidio, pulizia etnica (definiamola come più ci convince) in atto a Gaza. Quanto sta accadendo in Palestina, qualunque tregua ci sarà, resterà indelebile nella storia dell’umanità.

 

Questi due elementi dovrebbero rappresentare il tema di scontro vivo all’interno della campagna elettorale per le elezioni europee. A quanto sembra, almeno in Italia, non è così. Come non sembra essere elemento di scontro la natura e l’essenza dell’Unione Europea. Il nuovo patto di stabilità, la continua deflazione salariale e l’inesorabile riduzione della spesa sociale accanto all’aumento esponenziale della spesa militare, sono affrontati quasi come nodi “naturali” con cui fare i conti.

Il Governo ha ribadito il sostegno all’Ucraina, seppure per ora si è sottratto a dare il consenso alla possibilità che armi italiane colpiscano la Russia, così come continua a dare i buffetti e rimproveri ad Israele insieme al sempre più ridimensionato occidente senza alcuna azione diplomatica che provi a fermare il massacro. Nel coro governativo, in questi pochi giorni di campagna elettorale, la Lega prova a fare un po’ di controcanto per racimolare un po’ di voti nella parte di Paese, anche tra il suo elettorato tradizionale, che sta subendo gravi colpi dal contesto internazionale.

L’opposizione parlamentare composta da PD, AVS e Movimento cinque stelle su questi temi o è completamente appiattita sulle posizioni del Governo come il Pd o sussurra il suo dissenso per non rompere definitivamente la futuribile ipotesi di campo “largo” o “stretto” che sia.

Questa opposizione in Italia accusa il Governo di distruggere democrazia e coesione sociale, mentre il Governo Meloni attacca i governi precedenti e il superbonus. Nessuno alza lo sguardo verso la UE e la sua natura come prima responsabile di questi disastri.

Questo è il non dibattito che sta attraversando il nostro Paese e che porterà una larghissima parte della popolazione, sfinita da salari da fame, servizi essenziali ridotti all’osso e da un futuro incerto, a confermare un fortissimo astensionismo.

Anche in questa tornata la sinistra radicale ha dato mostra dei ritardi cronici che l’hanno portata a costruire il momento elettorale in maniera estemporanea e senza un respiro che provi a tracciare un oltre.

Le divisioni tra Prc e Potere al Popolo, ad esempio, sono esemplificative. Si uniscono (L’ultima volta con la lista Unione Popolare) e si dividono negli anni rimanendo, almeno ad uno sguardo esterno, sempre allo stesso punto. Anzi, riducendosi sempre più all’insignificante. Fino ad ora tutto si incentra su una figura carismatica, da De Magistris a Santoro per capirci, per poi svanire dopo il voto.

Alla destra AVS tiene insieme Verdi e Sinistra Italiana che, ad esempio, sulla guerra in Ucraina non hanno esattamente le stesse posizioni. In particolare, sono note le posizioni dei Verdi Europei sul convinto sostegno all’invio di armi a Kiev. Questo non è un dettaglio.

C’è da dire che AVS, con la visibilità acquisita attraverso la presenza parlamentare, potrebbe svolgere un ruolo di aggregazione a sinistra, almeno sul piano elettorale. Un ruolo che gli è impedito dal rapporto con il PD da cui tende ad essere fagocitata. Mettere al centro l’antifascismo e la questione Salis in questa campagna elettorale ha a che fare proprio con la volontà di apporre una sordina alle questioni dirimenti che cozzerebbero con le posizioni degli alleati.

L’operazione Salis, per la quale ovviamente auspichiamo la libertà e la tutela ora e dopo il voto, sa un po’ di cinica soluzione alla questione dello sbarramento. La Salis ha scelto il rischio e non ci sentiamo di giudicare la sua scelta, però questa candidatura non può essere la cartina tornasole di quello che dovrebbe dire e fare la sinistra in Europa in questa fase. In questo senso, non comprendiamo la scelta di Potere al Popolo di sostenere questa candidatura.

Da questo ginepraio certo non se ne esce con le alchimie. Quanto sta avvenendo nelle università italiane e di tutto il mondo sulla Palestina crediamo sia l’unica buona notizia per il futuro.

Per una lunga fase, crediamo, l’obiettivo dovrebbe essere la ricostruzione di un’area politica che si dia sulla rappresentanza una continuità, provando a dare un respiro di massa all’azione politica che riguarda sempre più le sorti del mondo. Uno spazio di elaborazione e proposta che porti dei duraturi passi in avanti senza l’ambizione nel breve periodo di strette organizzative che, allo stato, producono solo divisioni e involuzione.

Per esclusione la lista PDT è quella che riteniamo possa rappresentare per i temi affrontati, con tutti i limiti che nascono dal ragionamento precedente, un punto da valorizzare e per questo nel nostro piccolo diamo il nostro sostegno.

Non sappiamo se sarà un percorso che durerà dopo il voto, certo è che contro la guerra e il piano inclinato in cui stiamo precipitando, ci sarebbe bisogno di una risposta politica ambiziosa di cui all’orizzonte se ne vede a malapena il bagliore.