ELEZIONI REGIONALI E IL CAMPO CHE NON C’È

Per non apparire il solito guastafeste ho voluto aspettare a scrivere un commento sulle elezioni sarde. Mettere in discussione la grancassa sul “campo largo” fino a ieri sera poteva apparire poco di “moda” e, per farmi capire bene, ho atteso una controprova.

Dopo i risultati in Abruzzo devo confermare che le impressioni che avevo desunto il 25 febbraio sono confermate.

Prima di commentare, quindi, il risultato abruzzese è bene fare un passo indietro a quanto accaduto due settimane fa.

La striminzita vittoria, per 1200 voti, della Todde si concretizzava in un quadro ben preciso che, nei commenti entusiasti del cosiddetto “campo largo”, venivano quantomeno messi in secondo piano.

In Sardegna ha votato il 44% degli aventi diritto. Solo questo dato confermava l’assoluta parzialità del significato del voto. La maggioranza degli aventi diritto non si è espressa. Elemento cronico che però non può essere eluso.

Inoltre, il centrodestra ha perso le elezioni sarde con un candidato che a Cagliari, la città in cui è sindaco, ha avuto un distacco del 20% dalla candidata del centrosinistra. Quindi il peso del voto da un punto di vista strettamente locale aveva pesato non poco. Senza contare che in Sardegna ogni cinque anni lo schieramento al Governo viene sconfitto, segno di un grande malcontento nell’isola scaricato sui governatori di turno.

Le liste del centrodestra, invece, sommate avevano avuto il 6% in più di quelle del centrosinistra. I flussi dei voti si erano spostati all’interno delle coalizioni (basti pensare che al tracollo della Lega rispetto alle scorse regionali è corrisposto un aumento quasi corrispondente di Fratelli d’Italia) e non tra le coalizioni.

Quindi si può dire che in Sardegna ha vinto di pochissimo la candidata Todde mentre non si può dire lo stesso sulle forze politiche in ottica nazionale.

Il voto in Abruzzo non ha fatto altro che confermare quanto una lettura attenta dei dati aveva già indicato in Sardegna, al di là della propaganda sul “campo largo”.

Anche in questo caso l’astensionismo è l’elemento predominante con poco più del 50% dei votanti sugli aventi diritto e, in quello spazio, stravince il Centrodestra in cui si confermano i rapporti di forza interni alla coalizione. Con Fratelli d’Italia che la fa da padrone con il suo 27% e la Lega che vede i suoi voti fortemente ridimensionati rispetto al 2019 (aveva il 23% contro l’8% di oggi). Sorprendente il rafforzamento di Forza Italia (dal 12% del 2019 al 13,4% di oggi). Ma quello che evidenzia la vittoria del centrodestra e che smentisce le ipotesi di riscossa del centrosinistra è che il candidato Governatore Marsilio in questa tornata ha preso più voti in termini assoluti di quanti ne totalizzò nel 2019.

Anche questi risultati, come quelli sardi, confermano una performance elettorale molto positiva per il PD che fagocita gran parte del campo largo. Confondere la ripresa del solo PD con l’inizio del declino della Meloni è un po’ l’errore in cui sono incorsi molti analisti proiettando le loro speranze sulla realtà. Il M5stelle, infatti, crolla passando dal 18% del 2022 al 7%.

A questo punto è importante tornare al giudizio politico sul campo largo.

Se, come è evidente, il perno del campo largo è e resta il PD, la proposta di questo schieramento resta vincolata sui temi decisivi al filo che caratterizza l’attuale governo. Su Nato, guerra e atlantismo non esiste un’alternativa in quel campo. Il voto del M5stelle a favore della missione Aspides, legata tatticamente al voto abruzzese, sta lì a dimostrare cosa ci aspetterebbe con un Governo del “campo largo”. Nato, Europa, Guerra sono le questioni dei prossimi dieci anni sul tavolo. La crisi, il conseguente scontro geopolitico e la gestione del nuovo patto di stabilità europeo sono e saranno i nodi su cui si misura e misurerà la dialettica politica in questa fase storica.

L’assenza di una coerente rappresentanza su questo terreno è il vero problema che ha questo Paese.

Per la sinistra presente in Parlamento e dei 5stelle, invece di vagheggiare campi larghi fondati su un antifascismo un po’ di maniera, sarebbe il momento del coraggio e di rendersi autonomi dal PD. Per loro sarebbe possibile, per la visibilità che hanno acquisito, mettersi al traino di una coalizione alternativa con cui si dovrebbe misurare politicamente anche la sinistra radicale, sempre più marginalizzata e involuta in contraddizioni che sembrano ataviche e prive di sbocco.

Una convergenza che si autonomizzi dal PD e segni una discontinuità sui temi dirimenti sarebbe un bel segnale. Una proposta che sia in grado di parlare a quel 50/60% di italiani che non vanno più a votare. Purtroppo appare evidente che, a parte i proclami e le episodiche prese di posizione in dissonanza dal PD, sia i 5stelle che Alleanza Sinistra e Verdi restino ancorati al destino del centrosinistra sia per cultura politica che per necessità esistenziale.

Il nesso tra il peggioramento delle condizioni di vita e la tragedia che ci circonda nel mondo è davanti ai nostri occhi ma manca chi sia in grado di disvelarlo a livello di massa.

Ma è lì che si disegna o meno un’alternativa e non nel “campo che non c’è”.