GOVERNO MELONI. TRA PAROLE, BANDIERINE E FATTI

È palese che la tenuta della maggioranza è contenuta nella sommatoria delle bandierine delle forze politiche che la compongono. La giustizia per Forza Italia, il premierato per Fratelli d’Italia e l’Autonomia differenziata per la Lega. Tutti elementi che rispondono ad aspetti identitari che, comunque, sono potenzialmente in grado di spingere in avanti un’ulteriore trasformazione della natura delle istituzioni italiane in senso più autoritario e funzionale alla gestione politica ed egemonica della complicatissima fase che stiamo attraversando.

Di fronte all’impotenza nei confronti della crisi e all’incapacità di dare seguito ai roboanti proclami elettorali, il Governo punta da una parte sull’identità e dall’altra sull’allineamento nella politica estera ed economica con i settori dominanti del capitale euro-atlantico. Il teatrino dell’accerchiamento da parte di nemici più o meno oscuri non è altro che il corollario attraverso cui provare a tenere unito il proprio blocco sociale.

Andiamo al merito. L’autonomia differenziata, combinato con il patto di stabilità europeo, aggraverebbe quel meccanismo perverso tra gestione politica ed economica che già la riforma del titolo V della Costituzione ha determinato. Da ricordare che fu il centrosinistra di Massimo D’Alema ad aver firmato tale riforma. Ai tempi i tentativi del Centrosinistra di assorbire la spinta leghista si rivelarono esattamente funzionali allo smantellamento del tessuto del welfare che continua a scivolare verso un completo deterioramento.

La riforma targata Calderoli aprirebbe, quindi, senza più freni ad una frammentazione del sistema di tutela sociale. Tale frantumazione istituzionale farebbe emergere con maggiore forza la questione del rispetto dei LEP (Livelli essenziali delle prestazioni) portando ad un aggravio dei costi da parte dello Stato centrale. Il problema è che lo stato centrale, proprio grazie al “nuovo” patto di stabilità europeo, non potrà fare altro debito per aumentare la spesa e quindi il tutto si tradurrebbe in un aumento delle tasse o, come probabile, in ulteriori drastici tagli alla spesa pubblica.

Il vincolo esterno del patto di stabilità renderà “naturale” l’ulteriore smantellamento di ciò che resta della spesa sociale e l’autonomia differenziata politicamente porterà a scaricare sui livelli locali, completamente frammentati, le responsabilità sul dissesto e l’indebolimento del livello dei servizi, depotenziando ancora di più la forza di una possibile opposizione sociale. La logica del “premierato” in questo senso può diventare complementare all’autonomia differenziata determinando il collante autoritario e “stabile” necessario a comprimere gli effetti devastanti di quella riforma.

L’autonomia differenziata, come il premierato, avrà un percorso lungo che probabilmente sfocerà in un referendum dagli esiti, almeno ad oggi, fortemente incerti.

Ciò che è certo è la strada intrapresa dal Governo. Dal patto di stabilità a drastiche privatizzazioni fino all’aderenza al patto atlantico e alle sue politiche di guerra ogni passo è mirato a gestire il Paese sulla strada tracciata dall’élite euro-atlantica, provando a mantenere il consenso più attraverso la narrazione di uno scontro politico interno che dando, almeno nell’immediato, risposte alle esigenze del suo blocco sociale. L’ultima scelta di partecipare alla missione di guerra nel Mar Rosso a sostegno di Israele, con conseguenze tutte da scoprire sia sul piano militare che economico, è un po’ la sintesi di quanto espresso.

Il problema è che continua a non esistere ad oggi un’opposizione efficace al governo e alle politiche di cui è espressione e sinteticamente riportate. Il dibattito pubblico spazia da Acca Larenzia al Capodanno di Pozzolo, non intaccando il senso comune su quanto sta avvenendo nel concreto in Italia e nel mondo e favorendo la logica con cui la premier sta governando. In parte perché il principale partito di opposizione, il PD, sui nodi di fondo delle scelte del governo si dimena tra la collocazione strategica sul piano internazionale sovrapposta a quello della Meloni e la necessità di differenziarsi in politica interna su questioni spesso secondarie o accessorie. Il Movimento cinquestelle, seppure si esprima spesso con un profilo più netto su questioni come la guerra in Medioriente e l’invio di armi all’Ucraina, è spinto dall’istinto di sopravvivenza a sfumare molte delle sue posizioni.

La debolezza del conflitto sociale, che è effetto e causa della debolezza di un’opposizione politica di classe, si esplicita in maniera dirompente con il continuo ed inesorabile ridimensionamento del conflitto sindacale. Non si può continuare a richiamare la tradizione, le differenze culturali o la tipologia e la natura dei sindacati nei principali paesi europei se, a differenza che in Italia, in Francia si arriva a forme di lotta che bloccano per mesi il Paese, così come sta avvenendo in Germania in queste settimane. Nel nostro Paese, siamo ormai arrivati all’accettazione senza contromisure delle precettazioni del ministro Salvini e, a volte, l’utilizzo dello sciopero è diventato un’arma spuntata. Senza indagare a fondo e agire sulla questione sindacale e la sua radice politica difficilmente si può pensare che la deriva a cui assistiamo possa essere almeno frenata. Senza contromisure in questo senso ogni riforma di questo governo, in particolare quelle che spaccano il Paese, tenderà a peggiorare tale propensione all’impotenza.