Iran, gli USA impongono sanzioni…al mondo

Le guerre, oggi più che mai, non si combattono soltanto con le armi e sul fronte. La lotta economica sta assumendo un’importanza, via via, sempre crescente.

D’altronde negli ultimi 18 anni gli Stati Uniti d’America, spesso appoggiati da paesi europei, hanno condotto in Medio Oriente ben tre guerre in modo diretto (Afghanistan, Iraq e Libia) e una in modo indiretto (Siria; anche se vi sono stati pure lì non pochi interventi diretti). È da ricordare, inoltre, che la guerra in Afghanistan, nonostante il silenzio mediatico, non è mai terminata e risulta, quindi, tuttora in corso ed anche quella in Iraq è stata molto più lunga ed ostica di quanto era nelle previsioni.

Logico, dunque, che gli USA ci pensino due volte prima di provare ad attaccare militarmente un paese come l’Iran. Il quale, per giunta, a differenza degli altri paesi citati, si può considerare una vera e propria potenza regionale e, per territorio e popolazione, sovrasta nettamente gli altri.

Scartata – almeno per il momento – l’opzione militare, il neo-presidente USA Donald Trump sta tentando in tutti i modi di indebolire e di far crollare il regime degli ayatollah, attaccandolo sul fronte economico. E di solito quando si parla di attacco economico, si parla di sanzioni.

Per la verità le sanzioni nei confronti dell’Iran esistono da tanti anni. Però nel 2015 si era giunti ad un accordo sul nucleare tra Teheran e i paesi occidentali, per cui le sanzioni erano stato ridotte, in cambio della rinuncia iraniana ai progetti nucleari.

L’anno scorso, tuttavia, Trump ha denunciato unilateralmente tale accordo. Unilateralmente nel senso che la faccenda non è stata discussa né all’ONU, né assieme ai suoi alleati europei.

Nel novembre del 2018, dunque, è scattato il divieto per tutti i paesi del mondo di acquistare petrolio iraniano.

Tale divieto, però, prevedeva inizialmente una deroga di sei mesi per diversi paesi, tra i quali l’Italia (gli altri sono Cina, India, Giappone, Turchia, Grecia e altri ancora).

Ora, scaduti i sei mesi, Washington non intende concedere ulteriori deroghe. E quindi, stando così le cose, a partire dal 2 maggio tutti questi paesi, in teoria, sono tenuti a rispettare la sanzioni.

Ma alcuni di questi hanno già fatto sapere che non intendono attenersi a tale diktat statunitense, come la Turchia, la Cina e probabilmente anche l’India.

Purtroppo, però, a livello mondiale, le conseguenze del calo dell’esportazione del petrolio iraniano si vanno ad aggiungere ai problemi relativi ad altri paesi grandi esportatori di petrolio, quali il Venezuela e la Libia. E ciò sta contribuendo grandemente a far lievitare i prezzi dell’oro nero. Cosa che non mancherà di ripercuotersi, anche e soprattutto da noi in Italia, sui prezzi di numerosi prodotti, e quindi, sull’inflazione.

Per gli Stati Uniti, viceversa, questo problema non esiste, dato che hanno scorte sufficientemente abbondanti di petrolio.

Ma quali sono i motivi di queste sanzioni che gli yankees vogliono imporre a tutti i paesi del mondo contro l’Iran?

Il discorso sul presunto mancato rispetto degli accordi nucleari da parte di Teheran è una evidente scusa. I motivi veri sono in parte storici, ma soprattutto quelli legati all’attuale contesto geo-politico ed economico.

Storicamente il paese degli ayatollah – a partire dal 1979, anno della rivoluzione islamica – è sempre stata un po’ una bestia nera per gli USA, attuando una politica contraria agli interessi degli americani (e di Israele). E questo è il motivo di fondo.

Ma il vero problema dell’Iran è che sta mettendo i bastoni fra le ruote alla politica mediorientale degli Stati Uniti e di Israele.

Dopo il famoso attentato alle Torri gemelle di New York del 2001, infatti, la politica americana (e israeliana) in Medio Oriente ha mirato non tanto e non solo a sbarazzarsi di tutti i regimi non succubi alle sue politiche, quanto a dividere e a spezzettare il più possibile questi paesi, con l’evidente intento di controllarli meglio, grazie alla loro balcanizzazione.

Tale disegno, però, ha subito un primo smacco in Siria. Il governo di Assad non solo non è crollato – nonostante una tremenda guerra, durata anni, e nella quale non è difficile vedere lo zampino, tra gli altri, di USA ed Israele – ma anche la conseguente divisione del paese è stata molto più modesta di quanto Washington e Tel Aviv avrebbero desiderato.

In questo smacco un ruolo fondamentale, già prima ancora che intervenisse la Russia, l’hanno giocato senz’altro i miliziani sciiti, legati all’Iran, tra cui Hezbollah.

Non solo, grazie (anche) all’Iran si è creato il cosiddetto “corridoio sciita”, che parte dall’Iran stesso, passa per l’Iraq, dove pure vi è una nutrita presenza sciita, poi attraversa la Siria, e raggiunge il Mar Mediterraneo in Libano e nella stessa Siria.

Tale corridoio è visto come il fumo agli occhi non solo dagli USA e da Israele, ma anche dall’Arabia Saudita (governata da un brutale ed oscurantista regime sunnita, profondamente ostile agli sciiti), alleata con i primi due.

E qui veniamo ad un problema ancora più grosso. Una vera e propria spina nel fianco degli Stati Uniti. Tale “corridoio sciita”, infatti, oltre ad ostacolare la politica di USA-Israele in Medio Oriente, potrebbe facilmente servire ad un secondo scopo: quello di favorire la costruzione della strategica BRI (“Belt and Road Initiative”, tradotta come “Via della seta”) cinese.

Non è un caso, infatti, che le sanzioni in questione, oltre a danneggiare chiaramente Teheran, metteranno in difficoltà anche la stessa Cina, che importa buona parte del petrolio dall’Iran. Anche se difficilmente la prima si piegherà al diktat degli USA.

E, per non farci mancare niente, i danni economici li subiranno anche i paesi europei. I quali, infatti, già stanno pensando a come aggirare le sanzioni in questione.

Con le sanzioni all’Iran, dunque, Trump prova – o almeno queste sono verosimilmente le sue intenzioni- a prendere tre piccioni con una fava: da una parte indebolire l’Iran, fino, magari, a far cadere il regime degli ayatollah, rafforzando così, nel quadro del Medio Oriente, i suoi alleati Israele e Arabia Saudita e, dall’altra, mettere in difficoltà la temutissima (a livello economico) Cina. E, dall’altra ancora, dare anche un colpetto alla sempre più recalcitrante Europa.