IL GIGANTE HA I PIEDI DI ARGILLA

La crisi economica che si sta sviluppando a seguito della pandemia, oltre a mietere potenzialmente molte più vittime di quella esplosa nel 2008, manifesta in maniera violenta tutti i limiti ideologici ed egemonici del sistema economico dominante. Il primo in maniera assoluta è quella sul ruolo dello Stato chiamato in causa a gran voce nei momenti di difficoltà e definito ingombrante nei momenti in cui il mercato sembra crescere senza freni.

Molti definiscono gli effetti della pandemia simili a quelli di una guerra e, senza dubbio, la potenziale distruzione di capitale che ne potrà scaturire rende questo paragone non lontanissimo dalla realtà anche se la “guerra” economica, nelle forme variegate che abbiamo già conosciuto dagli anni ’90 in poi, durerà molto più a lungo della pandemia.

Infatti la battaglia vera per chi la spunterà nello scacchiere dell’economia globale molto probabilmente si dispiegherà in tutta la sua forza successivamente alla fine dell’emergenza sanitaria. Sarà il periodo di “pace” con il virus che disvelerà il volto aggressivo di un sistema che già prima era immerso in uno scontro tra potenze sempre meno nascosto dalla diplomazia.

Ogni Paese è e sarà impegnato a costruire le condizioni per mantenere l’egemonia capitalistica attraverso politiche di sostegno verso il proprio tessuto sociale e produttivo scontrandosi con un quadro di competitività e dimensione della crisi che mai aveva affrontato prima. La forbice tra la capacità sistemica di rispondere alle esigenze materiali sul piano di massa e la realtà potrebbe allargarsi notevolmente con spazi significativamente ampi per chi aspira a rilanciare un’opzione di trasformazione economica e sociale.

Le politiche tentate dal Governo Conte e lo scontro sempre più conclamato tra i Paesi Europei dimostra in maniera inequivocabile quanto l’Euro e la UE siano lontanissimi dall’essere una costruzione fondata sulla solidarietà ma, al contrario, siano una gabbia che riduce, soprattutto in un periodo di crisi,  gli Stati a muoversi come aziende private in cerca di liquidità. E nella lotta tra aziende, questo è noto, vince sempre la più forte e solida.

Non è un caso che l’Italia abbia centellinato i propri interventi con decreti di cadenza mensile sull’emergenza economica. Questo non per calibrare in base all’evoluzione della situazione, ma perché i provvedimenti sono legati alla trattativa con l’Europa.

Sembra molto chiaro, in realtà, che sarà pressochè impossibile sfondare il muro creato dalla UE e i suoi trattati. E così, tutto quello che sarà speso andrà ad accrescere l’indebitamento. A questo farà seguito la richiesta di un rientro dentro i parametri che i vincoli della moneta unica impongono. Ma vediamo nel dettaglio l’architettura attorno a cui il Governo Conte ha costruito le proprie misure.

Siamo al 20 di aprile e le uniche cassaintegrazioni pagate sono quelle anticipate dalle aziende. Le anticipazioni tanto annunciate da parte delle banche tardano ad arrivare con conseguenze che per milioni di famiglie rischiano di essere drammatiche. A parte i bonus di 600 Euro, ancora non pagati a tutti coloro che secondo il decreto ne hanno diritto, la gestione della liquidità è stata appaltata alle banche. Le uniche, peraltro, che per anni sono state rifornite di liquidità da parte della BCE. Lo sforzo dell’INPS, a fronte del crollo delle entrate contributive e della mole di richieste dei trattamenti d’integrazione salariale, è insostenibile senza il necessario da parte dello Stato in tempi più rapidi possibili.

A sostegno della liquidità generale non c’è quello dello Stato, come sta avvenendo in Giappone, in Gran Bretagna o Usa, ma le banche private. Si dirà che poi le banche saranno rimborsate dalle Stato. Vero. Ma a costo di un indebitamento che dovrà reperire sul mercato o dai prestiti UE con i meccanismi come il Mes. E’ evidente che nell’immediato sarebbe necessaria una politica monetaria espansiva in grado di “stampare” moneta e finanziare direttamente lo Stato trasformando la BCE in prestatore in ultima istanza in maniera illimitata.

In questa situazione alla crescita dell’indebitamento pubblico, causata dalle maggiori uscite, si dovrà sommare una diminuzione delle entrate dovute al crollo della produzione e del reddito complessivo. Tutto ciò con il rischio di arrivare alla ripresa presumibile del prossimo anno ad un rapporto debito/Pil ben oltre il 150/160%.

Da questo punto di vista lo stesso decreto liquidità a favore delle imprese va letto dentro questo quadro. Molte aziende riusciranno a salvarsi quanto previsto dal decreto seppure le procedure e le risorse in campo sono non solo incerte ma molte meno di quelle sbandierate sui media. Senza, però, un poderoso intervento pubblico diretto che faccia partire su gambe nuove gli assi portanti dell’economia non è neanche ipotizzabile pensare di uscire dalla terribile crisi che si dovrà affrontare a valle della pandemia. Anche qui, i soldi messi a disposizione dallo Stato sono circa 30 miliardi in garanzia a fronte di prestiti di circa 400 miliardi erogati dalle banche. Basteranno? Quante aziende riusciranno a rimborsare il loro debito?

Con la crisi del 2008 l’Italia perse il 25% del proprio tessuto produttivo. In questo caso il rischio che la perdita sia maggiore è sotto gli occhi di tutti, con l’aggiunta che sarà aumentato esponenzialmente sia il debito pubblico sia quello privato.

In questo senso la critica al governo non è tanto da rivolgere al fatto che si prova a garantire liquidità alle imprese per evitare che falliscano. Il vero nodo è che tutto venga lasciato alle dinamiche di mercato, a parte le perdite che saranno a carico dell’indebitamento statale. Non esiste un piano pubblico d’investimenti ma semplicemente, alla fine, si andrà a registrare quali imprese ce l’avranno fatta e quali saranno perite con il relativo costo sociale a carico della maggioranza della popolazione. Insomma il peggio deve ancora arrivare.

Questa situazione dimostra la patetica debolezza di un sistema economico e sociale irrazionale che non riesce a garantire una ripresa dopo la diffusione di un virus. Lo dimostra in generale e diviene incredibilmente eclatante dentro la gabbia europea.  Ed è proprio questo il momento di far riemergere, intanto nel dibattito di massa, quella razionalità in grado di evidenziarne i limiti e proporne il superamento. Perché il gigante ha i piedi di argilla.